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Dovete sapere che gli antichi Celti che abitavano i boschi e le valli dell’antico Monferrato avevano molti Dei.
Erano Dei che governavano le forze e della Natura che li circondava, erano l’incarnazione delle forze elementali che dirigevano e influenzavano la vita di ognuno.
Eccoli qua (ripassiamo assieme un po’ di mitologia Celtica che vi fa’ bene):
Belenos Dio della luce e della guarigione, protettore delle pecore e del bestiame. Sua sposa è la dea Belisama. Sono figure assimilabili alle divinità classiche Apollo e Minerva. Belisama Dea della sapienza. moglie di Belenos. Borvo Dio delle sorgenti. Damona La giovenca. Epona Dea della guerra. Esus Dio della vita. Lug Dio delle arti e del commercio, particolarmente venerato dalla popolazione degli Arverni. Sequana Dea della Senna. Sucellus Dio dei morti. Taranis Il suo nome significa “il fulminatore”. È il dio del tuono. Toutatis Dio della tribù. È la principale divinità gallica.
E poi c’era un Dio minore, piccolo ma importante, adorato solo in Italia e nei colli della Gallia Cisalpina, era il Dio delle erbe selvatiche e del sottobosco. Era il Dio Buriun.
I suoi sacerdoti non erano importanti come gli altri… in fondo era solo il Dio delle erbe…. ma custodivano un grande segreto.
Una bevanda magica, preparata in notti di plenilunio in segrete grotte ed in magici pentoloni.
Questa bevanda aveva il potere di lenire ogni dolore di pancia dovuto a eccessi nel mangiare o nel bere o a cibi guasti. Dava l’appetito ai deboli, faceva digerire i forti guerrieri dopo lauti banchetti, ristabiliva il colorito ai malati, era diuretica, lassativa, digestiva, calmante e dissetante.
La formula segreta era tramandata solo agli adepti alla setta sacerdotale. Era composta da erbe del sottobosco, selvatiche e profumate, dalle mille proprietà medicinali. Solo i sacerdoti sapevano quali erbe raccogliere e dove e quando. Come essiccarle e in che percentuale mischiarle. Non aveva un nome… ma era detta “la Sacra Bevanda del Dio BURIUN”.
La sua formula è giunta fino a noi tramandata oralmente.. ed il suo nome si è contratto fino al solo nome del Dio…. BURIUN.
La Nascita della Sacra Bevanda del Dio Buriun
Dovete sapere che in quei tempi gli Dei facevano sovente un incontro conviviale, generalmente dopo il tramonto del Sole.
Questo incontro si chiamava “Ribota”, la Ribota si teneva dove, quando e con chi capitava. Una volta ogni due o tre mesi si faceva un incontro molto importante, che coinvolgeva tutti gli Dei e si protraeva fino all’Alba, che si chiamava “Gran Ribota”.
C’era anche un rito minore…. per quando proprio non c’era tempo perché le cose andavano male e sulla terra i mortali avevano bisogno di tutti gli Dei, allora si faceva solo una cerimonia breve.. chiamata Merenda Sinoria.
La Ribota era una cosina così, tanto per trovarsi e mangiare insieme due fette di salame, una pasta e un pezzo di formaggio, ma la Gran Ribota era una cosa seria, ci dovevano essere tutti, e dato che era un impegno mica da ridere si faceva a turno, ogni volta ospitati da un Dio diverso.
La Gran Ribota era anche una specie di Assemblea Elettiva. Alla fine della cena gli Dei si sfidavano e chi avesse vinto gli altri a giochi di abilità e di forza avrebbe avuto il comando su tutti gli Dei e avrebbe stabilito la data della prossima Gran Ribota.
Inutile dire che il nostro Dio Buriun, con il poco potere che gli derivava dalle erbe del sottobosco, non vinceva mai, e guardava invidioso e un po’ triste gli altri Dei esibirsi in incredibili prove di destrezza e di forza.
Un giorno di Autunno inoltrato, venne fissata una Gran Ribota e toccava a Belenos. Ci si trovava alle 10 di sera e ognuno portava un piatto, Belenos avrebbe cucinato il piatto forte.
L’ora tarda era scelta perchè Belenos e sua moglie Belisama finchè c’era il sole avevano da lavorare dato che erano gli dei della luce.
Belisama era una donna molto bella e solare, intelligente ed allegra, portava con se il buonumore e il calore, però non era una gran cuoca… spesso lasciava bruciare la carne sullo spiedo perché aveva troppo da fare e non la girava.
Belenos, essendo il Dio del bestiame le portava le bestie migliori, i porcellini più grassi e teneri, il latte appena munto, ma niente, Belisama che era tanto sapiente quanto poco abile manualmente.. sapete com’è … tra il dire e il fare… ai fornelli era una vera frana.
Belenos e Belisama arrivavano sempre a casa tardi, non avevano molto tempo per cucinare e con 10 Dei a cena ed un gagliardo appetito divino erano giustamente preoccupati di non fare brutta figura.
Era infatti cattivo augurio far fare la fame agli Dei… portava miseria e carestia ai mortali. E loro volevano bene ai mortali, erano i loro fedeli e senza di loro non sarebbero stati Dei.
Belenos ci pensò un po’ su e poi disse alla moglie:
“Facciamo così, io allevo un bell’agnello tenero tenero, lo mantengo a polenta e latte per sei mesi, te lo porto macellato, ben insaporito con spezie e legato per la cottura e tu lo fai al forno con le patate. Che è un piatto che piace a tutti , si fa’ da solo e non si può sbagliare”
Al mezzodì Belenos lasciò un attimo il Sole fermo sul mezzogiorno che tanto nessuno se ne accorgeva, corse a casa e dette alla moglie l’agnello preparato per la sera.
Lei sbucciò le patate, le tagliò a pezzettoni, le insaporì con rosmarino e aglio, ci fece un bel gateau sotto l’agnello e lo mise in forno.
Poi tutta felice andò a seguire le attività artisitiche a cui presiedeva… sapete com’è…. Si incomincia a parlare del più e del meno, poi si leggono un po’ di poesie, si discute di storia si passa agli ultimi pettegolezzi sulla pettinatura di Sequana e la nuova dieta di Damona (ma tanto è una giovenca che cosa vuoi che dimagrisca?) e si fa’ subito tardi…. Belisanma tornò a casa quando i primi Dei stavano arrivando, corse subito in cucina, aprì il forno e… disastro!!
L’agnello era rinsecchito, le patate si erano disfatte nel grasso… oddio! Che fare?
Prese l’agnello e lo fece bollire in grasso di maiale fuso per dargli un po’ di umidità e rinvenirlo, le patate le spacciò come un purè aggiungendogli una badilata di formaggio grattugiato e un secchio di panna e frullandole.
Insomma… il piatto era una mazzata anche per il fegato di un Dio…. Agnello arrosto bollito nel grasso di maiale e purè fatta con il sugo dell’agnello, panna e formaggio.
Quel giorno poi capitò che gli Dei, sapendo che andavano a cena da Belenos e cucinava Belisama, si erano portati dietro un bel po’ di piatti robusti per non patire la fame.
Così c’erano acciughe al verde, tomini elettrici, anguilla in carpione, frittatine verdi e rognose con il salame,
sformato di gorgonzola e fontina, insalata di funghi e tonno, sardine sott’olio e aringhe affumicate, il patè di fegato d’oca, il lardo di Colonnata, prosciutto di Praga, salamin d’la douja e olive all’ascolana di antipasto.
Poi decine di dolci, di torte, di biscotti e di semifreddi…. I formaggi poi erano tanti e tali che non riusciro a tenerne il conto.
Erano andati avanti per ore, mangiando, bevendo, raccontandosi storielle allegre e fanfaronando i propri poteri divini e il numero dei loro fedeli.
Adesso era calato un momento di silenzio, sorseggiavano distillati per cercare di digerire e di lenire la sofferenza di una mangiata troppo ricca di grassi e di zuccheri e troppo abbondante.
Dio Buriun stava proprio male… la mazzata finale dell’agnello secco secco ma bello grasso con il purè che era colesterolo puro lo avevano messo k.o. Era abituato a mangiare presto e uscire poi per una salutare passeggiata a sera non ancora fatta, mettersi a tavola alle 10 per lui era il primo problema, il suo stomaco, dopo due ore passate a gorgogliare e grugnire, si era rassegnato e aveva chiuso bottega.
Aveva portato come suo contributo alla Grande Ribota frittatine verdi con Prezzemolo, Basilico, Menta e erba d’San Pè che erano appetitose, corroboranti e leggere, tant’è che ne aveva sgranocchiate un paio con una fettina di pane sottile sotile come mezzo per tenere a bada la fame, poi, quando si erano iniziate le portate, con tutto quel ben di Dio così saporito, salato, piccante, acido, grasso, aveva iniziato a ingozzarsi con pagnotte di pane, tracannato vino a boccalate, e alla fine era arrivato il piatto fote.
Adesso respirava a fatica, la pancia tirava, il cuore batteva a mille all’ora.
Magari avesse avuto una caramella in tasca per togliersi quel gusto dalla bocca… si frugò le tasche dell’abito che portava, un vecchio mantello che usava quando passeggiava nel bosco a visitare le erbe di cui era il protettore.
Cari amici, Buriun era un tipo strano…. li piaceva passeggiare nei boschi, lungo ombrosi sentieri, guardando e salutando a destra e sinistra le piante ed i cepugli.
Iniziava le sue passeggiate che c’era ancora la neve per terra, a fine Febbraio o nei primi giorni di Marzo, spuntavano allora i primi fiori, le gialle primule, le violette ed i biancospini e le tenere erbette verdi, la valeriana (i sarset) ed il tarassaco (i pisacan).
Faceva le sue passeggiate tutte le mattine e tutte le sere, per tutta le Primavera e l’inizio dell’Estate, poi si fermava all’arrivo dell’afa e riprendeva subito dopo che i primi temporali di Agosto avevano portato via la gran calura estiva, camminando in mezzo ai caldi colori della fine Estate ed alla tavolozza infinita di rossi, gialli e marroni dell’Autunno, fino alle prime brinate e alla prima neve di Inverno.
Sovente si fermava, affascinato dal colore o dal profuno di un erba, di una foglia, di un fiore, lo raccoglieva, lo sfregava tra le ditra e lo annusava, oppure se lo rigirava in mano e lo ammirava per molte miglia di camminata, poi se lo metteva in tasca perché non voleva lasciarlo cadere a terra dopo averne troncato l’esistenza, gli sembrava uno spreco ed un insulto.. se lo metteva semplicemente in tasca e se lo portava con se’.. come compagno e come ricordo.
Era oramai quasi Ottobre e Buriun il mantello lo puliva solo una volta all’anno, il primo Gennaio.
Aveva in tasca i fiori, le foglie e i semi di un intero anno di passeggiate. Il raccolto di un anno della fioritura del bosco. Il profumo era delizioso…. L’aspetto pure. Quelle erbe erano medicamentose, medicinali, perché non provare l’effetto su di se’?
Di nascosto andò in cucina e mise una pentola sul fuoco con acqua pura di fonte.
Quando stava per bollire, la tolse dal fuoco e ci mise una bella pugnata di quelle erbe e di quei fiori che aveva in tasca. Si sollevò subito un fragrante odore di mille essenze e di mille profumi. Come fossero esplose assieme Primavera, Estate ed Autunno….
Provò ad assaggiare l’infuso.. era buono! Continuò a sorseggiare il caldissimo infuso, percependo ogni singola essenza… ogni fiore e ogni erba… in questo era bravo.. anzi era quasi un DIO!
Il suo stomaco gradì la cosa… sentì gorgogliare la pancia, allargarsi gli intestini, gli venne su dal profondo un rutto enorme.
E improvvisamente si sentì bene…. leggero, acuto, brillante, persino un po’ affamato!
Tornò di la’ dove gli Dei gemevano sui loro scranni, intorpiditi dal cibo, annebbiati e appesantiti dalla digestione.
Li sfidò e li sconfisse uno dopo l’altro in giochi di abilità, di intelligenza, di forza. Stupiti soccombevano uno dopo l’altro, sgranando gli occhi…. Increduli.
Lo incoronarono e gli cinsero ai fianchi la sciarpa d’oro che lo elevava alla dignità di Capo degli Dei.
Damona ed Epona gli si strusciavano attorno coccolandolo e scompigliandoli i capelli… erano anni che lo pigliavano per il culo, lo ridicolizzavano, lo ignoravano quando lui portava loro i più bei fiori del bosco, adesso era il capo e quindi la musica cambiava.
Taranis faceva scoppiare i suoi tuoni e scoccava fulmini come fuochi d’artificio… era contento anche lui, finalmente anche Buriun poteva godersi un periodo di gloria.
Buriun non credeva ai suoi occhi…. Eppure era tutto vero, per la prima volta era diventato il loro Capo.
E sapeva anche che non sarebbe stata l’ultima, aveva trovato il segreto per arrivare anche alla fine di una Grande Ribota in perfette condizioni di forma e di spirito.
Bastava bere un boccale bollente del Magico Infuso.
Ecco come nacque la Sacra Bevanda del Dio Buriun….!
di Sandro Degiani