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Agnolotto Gobbo

Indirizzo: Asti

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Ecco la ricetta ufficiale per la preparazione del “Gobbo” depositata al Comune di Asti per l’ottenimento della De. Co. (Denominazione Comunale d’origine) alla quale, coloro che vorranno fregiarsi del logo, dovranno scrupolosamente attenersi.

Ingredienti: per circa 200 dozzine di agnolotti
(Mantenere le proporzioni per quantitativi inferiori)

Per il ripieno:

  • Carne di vitello, kg 2,2 possibilmente cappello del prete oppure scamone,
  • Carne di maiale, kg 1,6 possibilmente lonza
  • Un bel coniglio maschio nostrano di circa 2 kg
  • Salsiccia di puro suino, 600 grammi
  • Scarola bollita e ben strizzata circa 600 grammi cotta
  • 12 uova fresche
  • 500 grammi di parmigiano reggiano grattugiato
  • sale, pepe, noce moscata q.b.

Per la sfoglia:

  • kg 5 di farina 00
  • 20 uova fresche
  • 1,25 l di acqua tiepida
  • Sale q.b.

Preparare precedentemente l’arrosto di vitello, l’arrosto di maiale e l’arrosto di coniglio e cuocere la salciccia, avendo cura di conservare a parte il sugo di cottura che sarà poi prezioso per il condimento. E’ sconsigliato l’uso di vino rosso per evitare una colorazione troppo scura dell’impasto.
Tritare finemente gli arrosti, la salciccia ed il coniglio che sarà stato preventivamente disossato con cura.
In un capiente contenitore unire i tre arrosti tritati e aggiungere la scarola bollita, anch’essa tritata dopo averla saltata in padella con un po’ di sugo di arrosto.
Unire poi le dodici uova, il parmigiano grattuggiato, il sale, il pepe, e la noce moscata.
Amalgamare molto bene e a lungo, in modo che il ripieno risulti ben omogeneo.
Lasciarlo riposare ,coperto ,in frigorifero, giusto il tempo di impastare .
Consigliamo di procedere ad impastare 1 Kg. di farina alla volta: disporla a fontana sull’asse di legno e far scivolare nel centro le 4uova e il sale. Iniziare ad amalgamare il tutto con delicatezza e man mano che si rende necessario, unire l’acqua tiepida, fino a che l’impasto risulta elastico e ben compatto.
Procedere quindi a “tirare il foglio”. Le cuoche più esperte utilizzano semplicemente il mattarello, ma, per lo più, si usa l’apposita macchina.
Solo quando il foglio sarà sottilissimo, si potrà iniziare a confezionare gli agnolotti.
Si dispone un foglio di pasta sulla spianatoia e si procede a disporre su di esso una serie di mucchietti di ripieno a una distanza di circa 2,5 cm l’uno dall’altro fino a raggiungere il margine del foglio.
Quindi si ripiega il foglio su se stesso inglobando i mucchietti di ripieno.
Poi, aiutandosi con il lato delle dita, sigillare la pasta tra un mucchietto e l’altro e, infine anche il terzo lato.
Procedere con la rotella apposita a ritagliare le parti di pasta preventivamente sigillata e staccare così gli agnolotti.
Risulteranno quindi dentellati sui tre lati.
Con la rimanenza del foglio, se la superficie rimasta lo consente, ricominciare con nuovi mucchietti; se però il taglio di sfoglia rimasto è troppo piccolo, scartarlo e procedere con una sfoglia nuova.
In questo modo il lavoro procede più veloce e i ritagli possono essere utilizzati come “ maltagliati” nel minestrone… (i nostri vecchi non sprecavano nulla!)
Allargare poi gli agnolotti su vassoi spolverizzandoli di semola in modo che non si attacchino tra loro.
Conservarli in un luogo fresco ed asciutto per non più di 24ore.
Per gustarli nel modo migliore proponiamo di cuocerli nell’acqua bollente per pochissimi minuti: scolarli non appena tornano a galla e servirli solo con parmigiano o con il sugo di arrosto per assaporare appieno la loro delicatezza.

Cenni Storici

fonte Dott. Giancarlo Sattanino, www.agnolottogobbo.it
 
Non molti studiosi si sono occupati della storia e della realtà odierna dell’agnolotto, trovare notizie non è quindi facile.

Il nome è diffuso in una non grande parte del Piemonte, di cui è difficile dare confini precisi. Proviamo a dire che verso la Liguria compare il raviolo, verso l’Emilia compare il tortellino e verso la Lombardia semplicemente l’agnolotto scompare, non fa parte della tradizione gastronomica lombarda, per cui quando nella gastronomia lombarda troviamo citato l’agnolotto o il raviolo, siamo molto probabilmente davanti all’ importazione di una buona ricetta con adozione del suo nome originale.

Sicuramente non sbagliamo dicendo che il nome agnolotto è da tempo radicato nel torinese, nell’astigiano e nell’alessandrino fino a Ovada, Acqui Terme e Novi Ligure a sud, dove già compare il raviolo.

Particolarmente interessante è scoprire le differenze tra agnolotto e raviolo perché tutto fa pensare ad una loro origine comune e a una differenza determinata soprattutto dal ripieno poiché la forma è praticamente la stessa. Più ricco di erbe e cacio il raviolo, più ricco di carne e uovo l’agnolotto: questa è la differenza stabilita dal dizionario dell’Accademia della Crusca nel ‘700. A proposito del ripieno dell’agnolotto mi piace citare il sapiente Carlo Nasi che nel “Enchiridio del buongustaio in Piemonte” (1963) recita: ”…i veri agnolotti piemontesi non comportano la versione cosiddetta di magro. Costituiscono un piatto festivo, natalizio, pasquale, dionisiaco, faustiano; ridurli a un piatto quaresimale sarebbe come se la Benemerita affidasse a un Maresciallo a piedi il comando di una stazione a cavallo.”

Per una storia del raviolo ha molto lavorato Carletto Bergaglio, farmacista e gastronomo. Presentò i risultati delle sue ricerche nel corso del convegno nazionale “Sua maestà l’agnolotto” tenuto ad Alessandria il 7 Aprile 1990. Nel XII secolo il Marchesato di Gavi controlla la strada che porta in Liguria, a Genova. E’ l’ultima tappa prima dell’arrivo a Genova, molti mercanti si fermano per riposarsi in una delle tante locande. Una appartiene alla famiglia Raviolo che mette a punto questo pasto da offrire ai suoi avventori: un impasto pre-appenninico di erbe, uova e cacio chiuso nella sfoglia di pasta, che ben presto prende il nome di chi lo ha inventato: raviolo.

Da Gavi i ravioli giungono a Genova, sede di grandi fiere e mercati,che attirano gente da ogni dove per cui poco per volta i ravioli emigrano, si trovano sempre più lontano dalla loro culla originaria. La famiglia Raviolo si arricchisce, compra anche il titolo nobiliare dei Gavi, che si erano estinti, emigra a Genova. Altri invece si spostano ad Alessandria e ad Asti, dove, sempre secondo Bergaglio, col tempo cambiano nome in Raviola. Il raviolo quindi giunge anche nelle nostre campagne, viene adottato e apprezzato, ma il nome, chissà perchè, cambia. C’è chi sostiene che la prima carne usata nel ripieno sia stata quella di agnello, da cui agnellotto e poi agnolotto; altri sostengono che la forma primitiva fosse tondeggiante come un anello, da cui anellotto, agnellotto, agnolotto. Chi può saperlo? Certo è che già la “La cuciniera piemontese” libro di cucina pubblicato a Vercelli nel 1771 cita gli agnellotti all’italiana, sia di magro che di grasso.

Qualche decennio dopo anche il Vialardi, cuoco e pasticciere di casa Savoia, dimostra che pure lui li conosce bene perché li chiama agnellotti e ce ne offre un buon numero di ricette. Tra queste veramente seducente è la “zuppa d’agnelotti al forno” dove i nonni dei nostri agnolotti vengono chiusi in una specie di pasta brisè, asciugati al forno, cotti velocemente e serviti in buon brodo bollente. Il nostro Autore li definisce “buona zuppa signorile” e, credete, è vero: noi che abbiamo provato possiamo confermarlo. Quello che sembra certo è che l’agnolotto sia nato come piatto di riciclaggio di carni avanzate, ripresentate sotto forma di pasta macinata al mortaio con verdure e cacio per dare quantità e sapore, e poi racchiuse in fagottini di pasta per renderne comodo il servizio e il consumo. Col passare del tempo nelle famiglie piemontesi divennero il primo piatto insostituibile dei giorni di festa, sostituendo però gli avanzi con tagli di carne scelti e pregiati, e impiegando solo la verdura più adatta e il miglior formaggio da grattare, prima buon pecorino delle montagne liguri, poi l’italico parmigiano. Il vero agnolotto è solo quello fatto a mano. Fino al secondo dopoguerra anche le trattorie li offrivano soltanto così: per fare le centinaia di dozzine necessarie arruolavano le donne del paese o del quartiere che ne avevano la possibilità e la capacità, costava tempo e denaro, ma gli agnolotti che offrivano la Domenica ai loro clienti erano tutti “gobbi”. Poi il progresso, il benessere, la comparsa delle macchine per fare la pasta e la scomparsa delle donne contente di dedicare qualche pomeriggio alla settimana per fare agnolotti per i ristoranti ed eccoci arrivato a oggi. Anzi a ieri, quando gli agnolotti al ristorante erano fatti se non a mano, almeno da buoni pastai artigiani, ma soprattutto erano ancora quadrati e “gobbi”.
Nella notte dei tempi, l’agnolotto era noto come piatto di riciclaggio di carni avanzate riproposte macinate e amalgamate a formaggi e verdure e racchiuse poi in fagottini di pasta in modo da renderne più comodo il servizio e il consumo. Con il passare del tempo, però, nelle famiglie piemontesi, gli agnolotti divennero il primo piatto caratteristico dei giorni di festa: si sostituirono allora gli avanzi con tagli di carne scelti e preparati appositamente, si impiegarono solo le verdure più adatte e il miglior Parmigiano.

Il vero agnolotto “Gobbo“ Astigiano è solo quello fatto a mano. Oggi, invece, per effetto di una propaganda martellante da parte dei “Saloni della Gastronomia” se l’agnolotto non è col “ PLIN ”… è da buttare via!

La Corte dell’Agnolotto Gobbo
Nasce ad Asti il 27 ottobre 2006. Gli associati, detti “Cortesi“,  sono circa un centinaio ed altrettanti sono gli “Amici “. La sede è in Asti in Via L. Borsarelli 10. L’associazione è indipendente, apolitica e non ha fini di lucro. Si propone, in generale, il recupero e la conservazione delle ricette tradizionali, a cominciare da quelle relative alla cucina piemontese e, in modo particolare, a quella Astigiana. Dal nome stesso dell’associazione si evince che, in primis, l’obiettivo che si è posta è il recupero e la promozione dell’Agnolotto Astigiano, quello che in passato veniva denominato “gobbo” per la sua particolare forma. La Corte dell’Agnolotto Gobbo ha ricercato le vecchie ricette, le ha provate personalmente ed alla fine ne ha selezionata una che è diventata ufficiale, depositata presso il Comune di Asti e sulla sua base è stata richiesta ed ottenuta la De.CO. (Denominazione Comunale)

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