I secolo – Asti, 30 marzo 119, Patrono di Asti
Del Divo Secondo – la santa Vittoria.
Ei l’alma nutrita – d’indomito ardir,
Sostenne per Cristo – Glorioso martir. »
(Sebastiano Sillano, A la nobile Patria del glorioso martire San Secondo, 1932)
San Secondo d’Asti è venerato dalla Chiesa cattolica come santo, martire e patrono di Asti. Nel Martirologio romano è ricordato il 30 marzo
La figura leggendaria di san Secondo è sicuramente di provenienza longobarda. Si trova, infatti, il culto a San Secondo Parmense, a Ludiano nel Canton Ticino e a Venezia. Soprattutto, lo troviamo a Bobbio, nel monastero benedettino di San Colombano fondato da re Agilulfo e dalla regina Teodolinda.
San Secondo d’Asti è certamente una figura storicamente individuabile in un vescovo di Asti. Questi probabilmente si guadagnò fama e riconoscenza battendosi per la pacifica convivenza tra il nucleo originario di abitanti della città gallo-romana di Hasta e gli occupanti longobardi: l’occupazione longobarda avvenne altrove con modalità molto violente, mentre ad Asti si realizzò senza danni; al contrario, Asti fu scelta come capoluogo del vastissimo ducato assegnato a Gundoaldo, fratello della regina Teodolinda, e tale posizione di preminenza politico-amministrativa spiega il suo successivo sviluppo economico e mercantile.
In tal caso Secondo d’Asti non fu un martire in senso stretto, ma un testimone della fede, facilmente individuato come vero protettore (patrono) della città. Le possibili ambiguità nella conoscenza della sua figura storica sono da individuarsi nella presenza di altri santi omonimi come ad esempio san Secondo, martire venerato a Ventimiglia.
Alla luce di una recente datazione al carbonio 14 sulle ossa attribuite al Santo e conservate in un reliquiario in argento nella cripta della Collegiata dedicata al patrono astigiano, apparterrebbero ad un individuo di sesso maschile vissuto nel II secolo d.C. Questo rinforza l’ipotesi che nel caso le reliquie appartenessero a san Secondo, potrebbe trattarsi di un soldato romano martirizzato, come da sempre recita la leggenda. In questo caso potrebbero cadere così le altre ipotesi.
Gli atti di san Secondo derivano da quattro codici, diversi nella forma, ma simili nella sostanza: codice definito gallico; codice tratto dal monastero imperiale di San Massimo presso Trevi; codice tratto dalla biblioteca Vaticana; codice membraceo risalente al 1474 nell’archivio della Collegiata di San Secondo in Asti.
La leggenda tramanda che Secondo, vissuto al periodo dell’imperatore Adriano di nobili origini astigiane, fosse appartenente alla nobile famiglia dei “Vettii”, la quale avrebbe fondato e dato il nome al villaggio di Vezza d’Alba o dei “Pallidi” o della gens Licinia. Secondo, idolatra fervente ascritto alla milizia romana e grande amico di Saprizio, prefetto delle Alpi Cozie, fu iniziato al Cristianesimo da Calogero (comandante delle guardie del prefetto di Brescia, Italico, convertitosi al cristianesimo, imprigionato nel fondo della Torre Rossa); partì poi con Saprizio per un viaggio verso Tortona e proprio durante il tragitto, secondo la leggenda devozionale, sarebbero accaduti prodigi eccezionali.
Incontrò a Tortona Marziano, vescovo della città, che lo iniziò sulla via della conversione e della carità.
Secondo giunse a Milano, dove ebbe la benedizione di Giovita che lo invitò a portare il sacramento dell’eucarestia a Calogero e Marziano. Ritornato a Tortona, Secondo riuscì ad entrare nelle prigioni in cui Marziano era stato nel frattempo rinchiuso da Saprizio che lo aveva anche già condannato a morte. Secondo gli rimase accanto per tutta la notte e il giorno seguente, dopo il martirio, ne seppellì il corpo. Saprizio cercò di convincere Secondo a rinunciare al cristianesimo con tutti i mezzi, anche con le torture, ma Secondo rimase irremovibile nella sua scelta. Saprizio allora lo condannò a morte ma, durante la notte precedente il supplizio, Secondo sarebbe stato liberato da un angelo mandato dal cielo e “trasportato” ad Asti, nel carcere dove già si trovava Calogero. Saprizio, scoperta la fuga, tornò ad Asti, mandò Calogero ad Albenga dove venne martirizzato, mentre Secondo, il 30 marzo 119, venne portato all’esterno delle mura astigiane e decapitato. La leggenda narra ancora che Secondo fu sepolto sul luogo in cui fu ucciso e che qui sorse in seguito la chiesa a lui dedicata.
Uno dei miracoli attribuiti a san Secondo è quello della liberazione della città dall’assedio minacciato nel 1526 dal condottiero Fabrizio Maramaldo, al servizio dell’imperatore Carlo V, al tempo comandante del presidio di Alessandria.
Quest’ultimo, avendo tentato di entrare nei pressi di porta San Pietro, fu respinto e allontanato dalla popolazione che aveva invocato con fervore la protezione della Vergine Maria e di san Secondo.
L’importante vicenda fu raffigurata nell’affresco tuttora visibile nella parete destra del coro della collegiata a lui dedicata.
Ad Asti nella Collegiata di San Secondo, il suo corpo riposò nell’antica cripta, ma le incursioni barbariche dei secolo IX e secolo X ne obbligarono il trasferimento nel Duomo, più sicuro perché collocato all’interno della cinta muraria.
Bruningo, prima di riportare nuovamente le reliquie del Santo nella collegiata, avrebbe fatto ristrutturare ed ampliare la chiesa. Nel 1597 le reliquie vennero depositate sotto l’altare maggiore in una cassa argentea, offerta da Emanuele Filiberto di Savoia.
La devozione che i fedeli astigiani professano verso san Secondo è da sempre vivissima. Le feste in suo onore sono ancora oggi grandiose e solenni. Dapprima la festività si celebrava il 30 marzo, poi, siccome detto giorno cade sovente nella settimana Santa, o se non altro in Quaresima, si trasportò la festa al giovedì dopo la prima domenica dopo Pasqua, cioè in Albis. Nel 1818 con rescritto di papa Pio VII, la si fissò il primo martedì di maggio.
Già nel 1100 il Comune di Asti obbligava i propri feudatari a partecipare alla processione per la festa annuale del santo con le torce. In seguito si organizzarono i fuochi artificiali. Si dava inizio allo spettacolo pirotecnico con lo squillo delle trombe e con l’incendio della colombina, compito sempre affidato ad una dama della nobiltà. Così troviamo che nelle cronache del 1777 diede fuoco alla colomba una dama di Dronero, nel 1779 la contessa Mola di Larissè, nel 1781 la marchesa di Incisa e madama di Robilante, nel 1786 la marchesa di Gresy. Tutt’oggi la tradizione dei fuochi artificiali è vivissima: per gli astigiani è il Lundes d’j feu (lunedì dei fuochi), il lunedì antecedente la festa del santo patrono, nell’abituale area del Lungo Tanaro.
La Fiera Carolingia è sicuramente la più antica, la più conosciuta e la più grande delle Fiere che si svolgono sul territorio astigiano. Negli ordinamenti della Rubrice Statorum della città di Asti del 1340, si viene a conoscenza che una delle due fiere si tiene otto giorni prima e otto giorni dopo la festa del Santo patrono della città, lungo una parte della contrada Maestra (l’attuale Corso Alfieri) a cui partecipavano mercanti provenienti da varie parti del paese e dell’Europa. Questo per la città di Asti era un tale beneficio economico che i principi o signori reggenti concedevano ai partecipanti particolari agevolazioni quali il diritto di asilo e di ospitalità, l’esenzione dei dazi sulle merci, il più sollecito disbrigo delle formalità burocratiche. I prodotti erano i più svariati: lane fiorentine ed inglesi, broccati veneziani, lame del Reno, vini, spezie, pelli. Tuttora la manifestazione in onore del Santo patrono mantiene la sua freschezza e completezza sia per quanto riguarda i tanti operatori partecipanti, con una varietà grandissima di prodotti, sia per quanto riguarda i visitatori che sempre numerosi accorrono dall’Italia e dall’estero; è cambiato solo lo spazio occupato dalle bancarelle che ora è più grande estendendosi lungo le vie di tutto il centro storico. La fiera si svolge il mercoledì seguente la festa di san Secondo.
Le corse del Palio in occasione delle festività di san Secondo sono antichissime, probabilmente anteriori al 1200. Potevano concorrere astigiani e forestieri. Emanuele Filiberto, il 20 maggio 1545, assumendo la reggenza della città, si impegnò per sé e per i suoi successori a fornire i palii: uno di rasi 12 per la Corsa, l’altro di rasi 9 per l’offerta al santo patrono. Nel XVIII secolo i palii vennero uniti ad un labaro di tela, generalmente azzurra, ornato dagli stemmi di Savoia, del Comune, del Governatore e del Podestà. L’immagine di San Secondo a cavallo fece la sua apparizione sul labaro del Palio dedicato alla chiesa e, sul finire del secolo XIX, anche su quello per la Corsa. Sin dai palii più antichi compare sempre l’immagine del santo, in un primo tempo schematizzata in un piccolo tondo dipinto, poi, nell’Ottocento, espressa sempre con l’iconografia del soldato romano e, nel periodo più recente, caratterizzata dall’interpretazione dell’artista a cui è affidata l’opera.